La potenza di un’esplosione nucleare si può calcolare in limoni. La data della fine del mondo, invece, si può desumere da un lancio di dadi – perché Dio gioca a dadi, Einstein si sbagliava – ma se poi il risultato non ci piace possiamo cambiarlo. Quale mondo, infatti, si permetterebbe di finire a luglio? La formula dell’amore, invece, quella è più complicata (anche se Guido Catalano calcola l’amore in Umberti Echi in una geniale splendida poesia).
[cro_callout text=”«L’alimentari era tranquillo e percorsi le corsie senza fretta. Mi fermai un momento di fronte al cesto di ramen Mofuku. L’eterno saldo – 3 per 99 centesimi – e l’eterno cosmonauta rosa e giallo. L’URSS era caduta, avevano raso al suolo la piscina comunale, ma quegli esasperanti ramenauti restavano fermi al loro posto. La nostra civiltà si evolveva, ok, ma non per forza nella direzione giusta.»” layout=”2″ color=”#891C09″]Nicolas Dickner è un quarantenne scrittore canadese francofono dal grande talento visionario, che un editore bravo e attento, Keller, ha portato al pubblico italiano con questo romanzo, Apocalisse per principianti, uscito a dicembre del 2012 (in zona profezia dei Maya, quindi). La storia è surreale, ma a suo modo coerente: un ragazzo e una ragazza si incontrano nell’estate del 1989, in una cittadina canadese. Il mondo si accinge a cambiare in fretta, in quei mesi, ma alla ragazza, che si chiama Hope Randall, sembra interessare tutt’altro.Randall, infatti, per generazioni sono stati ossessionati dalla fine del mondo. Calcolare l’esatto momento dell’apocalisse è diventata una questione, con buona pace dei paradossi, di vita o di morte. S’intende che da generazioni i Randall sbagliano le previsioni, e il mondo continua ad andare per il suo corso. E così Hope incontra il ragazzo cui s’accennava, Mikey, che tempo dieci minuti s’innamora di quella diciassettenne stramba, che studia il russo e gioca a dadi col mondo.
Apocalisse per principianti è anche una storia d’amore molto tenera, in cui Mikey veste i panni del salvatore, Hope quelli della principessa in fuga; è anche il racconto, da una prospettiva sghemba, di mesi che hanno cambiato il mondo; è anche un’immersione nella follia, quella della madre di Hope, che accumula ossessivamente derrate alimentari in previsione della fine, e nel sonno parla in aramaico; è anche un viaggio sulle tracce di Hope, che si troverà a partire per il Giappone.
Ma soprattutto questo romanzo è scritto con stile: Dickner ha trovato un linguaggio leggero, riconoscibile, con brevi frasi efficaci e qualche strizzata d’occhio, non troppe, al lettore. Che viene salutato con la rassicurante osservazione che “andava tutto meglio, da quando la fine del mondo era alle nostre spalle”.