Buongiorno Lunatici!
Che si dice? Noi ci stiamo preparando per una settimana tutta al femminile: dato che venerdì sarà la giornata internazionale della Donna perché non approfittarne?
Calcheranno infatti il nostro palco non palco Chiara Trevisan con una conferenza partecipata su un argomento poco trattato: la menopausa. E sabato invece Mauela Marascio ci porterà tre personaggi letterari coraggiosi, indipendenti e fieramente liberi, tre donne piene di fascino, con uno spettacolo che sarà un melange di dramma, burlesque, arte figurativa e lirica. Noi siamo curiosissime, e voi???
Ma ora veniamo alla riflessione che volevamo condividere con voi. L’altra sera ci è capitato di vedere a teatro Rumba – L’asino e il bue del Presepe nel parcheggio del supermercato di e con Ascanio Celestini. Il Nostro parte dalla storia della vita di San Francesco per arrivare a trattare argomenti attuali e del tutto scomodi. Ma come?
Partiamo dal principio: San Francesco, appunto. Che nasce ricco, nobile, di buona famiglia e cresce come tale, ma poi ad un certo punto accade che non si riconosce più in quello che ha, in quello che è, nella vita che gli è capitata in sorte. E allora si spoglia delle sue ricchezze, dei suoi abiti, scalzo va in giro a predicare la Fratellanza. Già, perché l’ordine francescano è un ordine di Frati, di Fratelli.
Lo sappiamo, l’abbiamo fatta breve e non saremo sicuramente abili narratori come invece lo è Celestini, ma tutto ciò che è stato raccontato in quelle due ore scarse riguardava proprio questo argomento. Partendo da San Francesco per finire nel parcheggio di un supermercato, con il bar accanto frequentato sempre dai soliti “quattro” avventori che invecchiano insieme, nel magazzino di un’azienda di logistica, tra lavoratori per lo più immigrati, sul barcone di una chiatta piena di persone che tentano la fortuna in cerca di una vita migliore finendo poi a naufragare e quindi in prigione -nel migliore dei casi-, tra le mura domestiche di una famigliola che dalla campagna è venuta in città a cercar lavoro e quando nasce il figlio è una festa, guastata dalla malattia del pargoletto e da questi maledetti zingari che rubano e godono della totale impunità. Un florilegio di umanità che si arrabatta per condurre un’esistenza mediocre, che inciampa su se stessa, sulla vita che frappone i suoi ostacoli. Un guazzabuglio di individui che ricorda le stelle che sono in cielo. Celestini ripete infatti per tutta la pièce: «Quante sono le stelle nel cielo? Così tante che non si possono contare. E poi ci sono quelle che non riesci a vedere. Quelle non le puoi contare. Per quelle ci vuole il cannocchiale. Allora le stelle nel cielo sono ancora di più. Così tante che non si possono contare e neanche vedere tutte quante.»
Eppure, anche in questo intrico di vite malandate, di sorti bizzarre, spesso crudeli, quello che vince è la fratellanza, quella che sa dare il nome ad un amico o un familiare annegato durante la traversata, che renende le giornate al magazzino di logistica meno pesanti, tra battute, scherzi, confidenze, che rende tutti coloro che seguono San Francesco Fratelli che vedono nell’altro, in tutti gli altri, dei Fratelli.
E allora a che pro le guerre, l’egoismo, l’individualismo cieco? Un mondo abitato da Fratelli, di diverse etnie, provenienze, lingue, ma pur sempre Fratelli perché fatti di carne, respiro, sguardo, pensieri, sentimenti.
Crediamo fosse proprio questo l’intento dello spettacolo. Ed è struggente pensare di averlo visto in un periodo storico come quello che stiamo affrontando, con guerre vicine e lontane che stanno dilaniando l’umanità, con l’indifferenza verso le troppe morti che avvengono nei mari attorno alla nostra penisola, con tutta questa fercoce disumanizzazione di quell’altro di cui parlavamo. Quello che in una logica capovolta, l’unica per noi concepibile e possibile alla nostra sopravvivenza come genere umano, è un Fratello, il Fratello, i Fratelli, tutti Fratelli, come in una costellazione in cui c’è spazio per tutti di brillare, l’uno accanto all’altro.
Non possiamo non notare l’amarezza che tutta questa carrellata di pensieri ci ha fatto provare, ma speriamo. Speriamo che i Fratelli ricordino di esserlo, prima o poi. Noi faremo del nostro meglio nel nostro piccolo perché, si sa, la goccia scava la roccia, quindi animo, Lunatici, e impegnamoci ad essere Fratelli e non individui qualsiasi o addirittura nemici.
Fratelli. Per il solo fatto di abitare questo pianeta a parità di casualità e dunque e a maggior ragione a parità di diritti.