Buongiorno, Lunatici!
Come state? Un po’ scombussolati dagli eventi che ci circondano, immaginiamo. Noi cerchiamo di star bene comunque e di mandare avanti il nostro satellitone con la solita verve.
Buone notizie! Con gli allentamenti alle restrizioni potremo nuovamente ospitare eventi e in concomitanza servire aperitivi e/o cene, quindi stiamo pensando già a un po’ di serate da proporvi, cominciando con Giorgio Olmoti giovedì 17 marzo e Alessandra Racca venerdì 18: una settimana all’insegna della letteratura e della poesia!
Siamo state silenziose perché il nuovo cambio di rotta ci ha impegnate a meditare su come riorganizzarci e cosa proporvi. Ma finalmente eccoci qua!
La riflessione di questa settimana verte su un argomento non facile: la perfezione. Quanti di noi, in qualsiasi vicenda della vita, vorrebbero sempre essere al meglio, fare le cose per bene, risultare pronti, pieni di spirito e con la soluzione alla mano? Rispondere a tono, comportarsi come si deve, essere irreprensibili e scevri da difetti? Immaginiamo tanti. Eppure…
C’è qualcosa che stride in questa nostra ricerca della perfezione, qualcosa che cozza profondamente con il nostro essere umani troppo umani. Tendere al meglio è sicuramente ciò che ci fa raggiungere obiettivi, traguardi, ci fa agire in modo sensato e ci permette di sfruttare le nostre capacità in modo proficuo. Ma la perfezione, a patto che esista, è invece così fondamentale e necessaria?
Crediamo fermamente di no. Nell’imperfezione, nell’errore, nello sbagliarsi c’è una bellezza intrinseca, quella che ci fa essere consapevoli delle nostre debolezze, che ci fa comprendere le nostre fragilità, che ci dà la possibilità di imparare dai nostri errori, di metterci in discussione.
Un’esistenza senza sbavature, tutta illuminata da successi, senza una caduta, una deviazione di percorso, lineare ed esemplare ci pare impossibile (oltre che vagamente noiosa): la vita stessa ci pone di fronte a situazioni in cui questo criterio perde d’importanza a vantaggio di altri come solidarietà, generosità, capacità di reazione, sapersi reinventare, cambiare prospettiva.
Prendiamo a prestito una definizione dal vocabolario per meglio spiegare ciò che vogliamo dire:
nèo s. m. [lat. naevus]. – 1. a. Malformazione congenita della cute (detta, nel linguaggio medico, anche nevo), circoscritta e benigna, in forma di piccola tumefazione o di macchiolina persistente, di colore bruno o nericcio o grigiastro, ma talora anche acromica, di struttura varia, che eccezionalmente può degenerare in tumore maligno […]; b. Macchia posticcia, del colore e forma di un neo naturale, che nel sec. 18° le dame si applicavano per vezzo (o disegnavano col belletto) sulle guance, all’angolo delle labbra o degli occhi. 2. In senso fig., difetto appena percepibile in rapporto a una misura di ideale perfezione: è un lavoro eccellente, con solo qualche piccolo n.; bellezza, perfezione senza nei.
Il Neo è una malformazione della cute, che infatti in senso figurato assume il significato di difetto appena percepibile, eppure quante immagini di donne e uomini meravigliose/i abbiamo in mente che sono caratterizzate dalla presenza di nei che invece di guastarlo rendono l’aspetto ancor più interessante? Le dame del XVIII secolo se li applicavano addirittura posticci!
Ecco: come i nei su un viso, su un braccio, su una pancia, su un polso, le nostre imperfezioni ci rendono belli, interessanti, unici, pieni di risorse da scoprire… buttando alle ortiche l’odiata perfezione!
E dunque evviva evviva la perfettibilità! della nostra noi ne andiamo fieri!