Eh, studiare, da che mondo e mondo, è fatica, impegno, lavoro, sforzo e concentrazione. Soprattutto quando si frequenta la scuola dell’obbligo e si devono sostenere interrogazioni e compiti in classe su quella materia che è propio un po’ come una spina nel fianco.
Bene. Capita che, aiutando un’undicenne in difficoltà, s’incappi in un esercizio di grammatica. Adorata grammatica, sempre piaciuta, con le sue regole, con la sua struttura che rende gradevole il nostro espimerci e comunicare!
Bene di nuovo. Questo è quello che alberga nel nostro animo, assai diversamente da ciò che si muove nel cuore del giovin virgulto, che non fa mistero di odiare la materia e di provare un fastidio potente nel trovarsi obbligata a risolvere esercizi che ritiene solo tediosi.
Armi di convincimento alla mano ci mettiamo a perorare la causa della bella lingua, della grammatica come strumento del bell’eloquio, dell’esprimersi efficacemente nel colloquiare con altre persone.
Bene e tre. La fanciulla in questione ci ascolta e ci lascia finire, poi ci guarda con gli occhi della sufficienza e ci dice (facendoci rimanere con un palmo di naso): Ma scusa, la mia sorellina piccola mica parla bene, eppure io la capisco, si fa capire in modi che non sono legati all’esprimersi correttamente. E i popoli primitivi mica usavano le regole che ci siamo date noi per esprimersi e comunicare!
Ecco. Eccoci arrivati al punto. Qual è l’utilità del darsi delle regole? Dell’esprimersi in modo corretto, seguendo una grammatica che privilegia una via di comunicazione e dei modi di comunicare specifici, piuttosto che altri?
Dal punto di vista pratico nessuna. In effetti la giovinetta aveva pure ragione: per comprendersi basta sforzarsi di ascoltare l’altro e quindi capire ciò che vuole e che vuole comunicarci.
Però, diamine! E le sfumature? E le sottigliezze? Tutti e solamente arzigogolii mentali? Quanto è bello udire un congiuntivo collocato correttamente all’interno di una frase? Quanto è musicale sentire un discorso tenuto da una persona che conosce le regole della nostra complessa e affascinante grammatica? Quanto riempie gli occhi leggere una pagina scritta con cura e attenzione verso le formule grammaticali, partendo dalla punteggiatura?
Non esiste nessuno al mondo che possa affermare che la grammatica sia indispensabile, anzi, ma se allarghiamo un po’ il campo in fondo sottostare a regole, avere parametri precisi e comuni da condividere e rispettare, è un po’ la base della civile convivenza, dello stare insieme, dell’essere una comunità oltre che singoli individui. Per non ritrovarsi alla confusione totale, in una novella Babele in cui nessuno sa più ritrovare un senso a quello che fa e a quello che dice.
E poi, fermo restando che le regole servono per avere una base comune da cui spiccare il volo, sarà bello e pieno di senso sbagliare consapevolmente, scegliere la strada dell’errore per il piacere di farlo, scegliere una non-lingua, un grammelot che ci renda liberi di irridere quei dettami che osservati troppo strettamente troppo strettamente irregimentano. Quindi che dire a quell’obiezione di nuova generazione?
Ve bene, che non ti piaccia la grammatica è più che comprensibile: non tutto può piacere a tutti, ma impara. Impara perché solo sapendo potrai sentirti libera da quelle restrizioni che tanto ti stanno antipatiche.
Conoscere, sapere, per riconoscere e saper scegliere. Anche di farsi una bella chiacchierata sgrammaticata!