Succede che a un certo punto il computer che usi da più di dieci anni decide di non accendersi. Di punto in bianco nessun segno di vita. Dopo un primo momento di autolesionismo (perché ho voluto riorganizzare i backup spostando tutto sul computer due settimane fa? Perchéééé???) la vera domanda che ci si fa subito in questi casi è: cosa ho perso?
Lo stupore è che il pensiero non è andato a cose recenti: file di lavoro, musica, film. No, il pensiero è andato indietro, nella memoria. Le cose che avevo più paura di perdere erano anche quelle che non guardavo da più tempo: tesi di laurea e materiali relativi, vecchie corrispondenze salvate, tutte le lettere scritte e mai spedite, quindici (sì 15) versioni e revisioni di un testo teatrale tratto da un racconto di Durrenmatt. E fotografie. Immagini di quelle persone che ti hanno attraversato la vita anche solo per un breve momento, o di luoghi che hai attraversato e scoperto. Immagini magari mai più sfogliate, ma importanti perché erano lì.
La buona notizia è che tutto è stato recuperato, riorganizzato, messo al sicuro*. Il fatto curioso sono stati i due giorni di viaggio nel tempo che ne è derivato. Cose che non ricordavo più, cose che ho preferito cancellare, cose che credevo sarebbe stato brutto riaprire e invece mi hanno regalato un piacevole senso di commossa nostalgia.
E quindi, come funziona tutta questa storia dei ricordi, della memoria, di chi o cosa siamo? È davvero tutto come un computer? E se il cervellone a un certo punto va in down? O se i ricordi sono troppi e il nostro hard disk interno decide di andare in letargo perché non ce la fa più, magari perché è pieno di cose inutili?
In un primo momento pensato di riempirmi la casa di post-it come in Memento, di tatuarmi sugli avambracci le password di tutti i posti in cui archivio cose, di stampare le migliaia di pagine e le migliaia di foto per tornare finalmente analogica e non pensarci più. Però così sarei letteralmente sommersa dai ricordi, tutti stipati in una casa piccola in cui sarebbe difficile respirare.
Subito dopo ho pensato di rinunciare a priori. Di non provarci neppure a recuperare cose vecchie di decenni, semplicemente di eliminare tutto facendo un funerale al computer e ringraziandolo per il tempo che abbiamo condiviso. Dopo due secondi mi sono sentita come Jim Carrey in Eternal Sunshine of the Spotless Mind (in Italia terrificantemente tradotto in Se mi lasci ti cancello), che si rende conto di non voler assolutamente cancellare i suoi ricordi e inizia un viaggio straordinario all’interno della sua memoria e della sua testa per tentare di salvare il salvabile.
No, la Lacuna Inc. non fa per me.
Per fortuna è arrivato in mio soccorso un brav’uomo. La mia memoria interna ora è un po’ acciaccata, un po’ lenta, non sempre di risposta pronta, ma comunque intatta. L’ho ripresa, ripulita, messa al sicuro. Alcune cose le ho messe in posti dove probabilmente mi affaccerò poco e molto raramente, altre sono a portata di mano. Altre ancora le ho prese dai meandri di cartelle e sotto cartelle e riportate in evidenza, con la promessa interiore di riaprirle d’ora in poi.
Quindi alla fine, forse, tutta questa storia dei ricordi funziona solo così. A volte ci va uno scossone per ricordarci cose di noi che ci eravamo scordati. Altre volte bisogna fare una bella pulizia per lasciare andare le cose inutili e alleggerirsi un po’ l’animo.
In ogni caso la cosa rassicurante è che anche se a volte sembra di essersi persi, anche se il quotidiano ci porta a ingolfarci di cose pratiche, a pensarci bene si sa sempre qual è la cosa più importante da salvare.
Dopo tutto questo le lunatiche hanno per voi un solo consiglio: non badate troppo ai filosofeggiamenti, leggete la newsletter fino in fondo, prenotate per le nostre serate, e dopo, ecco… fate un backup.
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*si ringrazia per il salvataggio della memoria storica di chi scrive il grandioso A.B., che è grandioso in molti sensi. Questo è uno.