Il fatto è che usciamo dalla lettura dell’ultimo libro di Zerocalcare. Chi conosce un po’ l’universo del disegnatore di Rebibbia, ormai – oltre ai suoi personaggi – ha imparato anche a conoscere alcune sue espressioni. Una di quelle che ci piace di più è “l’accollo”. Ci piace anche perché questo modo di dire, questo termine, era già entrato nelle nostre vite e l’avevamo adottato grazie alla sempre mitica coinquilina sicula. Ogni volta che si presentava una cosa da fare, una bega da risolvere, un problema (magari di qualcun altro) da affrontare, la domanda era: me l’accollo o non me l’accollo?
Il povero Zerocalcare – che ha quel brutto problema di non riuscire a dire di no, a quanto pare – gli “accolli” se li becca tutti e non riesce a schivarli un gran che.
Ma noi, in genere, quante cose ci accolliamo? Esiste un limite di accolli accollabili per ognuno di noi? Dove sta la differenza tra la disponibilità e l’accollo?
È una questione spinosa. Lo è in ambito lavorativo (eh sì, anche il nostro telefono, come quello di Zero suona costantemente con richieste di ogni sorta: robe etiche, robe che dovresti proprio fare, robe che potresti anche evitare, robe dell’amici dell’amici dell’amici) e lo è soprattutto in ambito personale. Quanto tempo possiamo dedicare agli accolli? Quanto gli accolli ci portano fuori strada facendoci perdere la traiettoria che ci eravamo prefissati? E quanto e come è lecito, è giusto, dire di sì o di no?
Gli accolli sono una brutta bega. Come finirà per zerocalcare lo scopriremo solo tra qualche mese, ma leggendo le sue pagine, vedendo scomparire la sua vocina interiore armadillosa sostituita da una guerriera viene da chiederselo: ma non è che a forza di accollarci l’inaccollabile, finiamo per non distinguere più cosa è importante e cosa no? Non è che finiamo per far tabula rasa degli accolli, anche di quelli che saremmo disposti ad affrontare, semplicemente per raggiunto limite di sopportazione?
Noi lunatiche ci accolliamo questa riflessione, ci accolliamo l’antipatia del dover dire di no, a volte, e ci accolliamo le soddisfazioni che arrivano dagli accolli buoni. O almeno ci proviamo.
Ecco, se però un giorno ci vedrete barriccate tra i tavoli con un mitra puntato al telefono, non spaventatevi però. Passerà.