Viviamo una sensazione come di sdoppiamento, o se preferite di alterità: un po’ come ci vedessimo vivere nell’altrui riflesso. Spieghiamo meglio, non vi lasciamo ad arrovellarvi.
Chi alluna lo sa: il nostro è un locale dove il tempo sembra fermarsi, come una bolla sospesa nell’indefinito, a gravitare in un punto imprecisato di una Torino che potrebbe essere un luogo altro, con compagni di viaggio che mutano di volta in volta.
Il tempo si dilata anche dietro al bancone, con ore su ore che diventano quasi giorni di un’altra giornata, sovrapponendo attimi, istanti, e non si capisce più chi sia entrato quando, cosa sia successo e in che momento.
Lo ammettiamo: con una certa invidia assistiamo a chiacchierate lunghe un pomeriggio, sessioni di studio (o lavoro) condiviso lunghe un’intera giornata, pranzi o merende pigri, divanamenti più o meno prolungati con tanto di libro e (perché no?, tanto ormai ci sono!) copertina, amorazzi che nascono, pomiciate più o meno discrete e tanto tanto chiacchierare, confrontarsi, godere della compagnia di qualcuno.
Non che noi non si goda di tutto ciò, ma è un po’ a metà: contenti di vedere e accogliere i più, contenti di fare la battuta, sentire le ultime novità, conoscere nuovi avventori, presentarsi agli amici dei clienti abituali, che portano volti non noti, ma…
Tutto è un po’ tronco, con il senso del fare e del dovere che bussa alla porta e non rende piene fino in fondo le esperienze.
Ecco, sì, lo ammettiamo: la nostra natura è forse più compagnona che atta a grestire un locale, ma dato che ci troviamo in barca e bisogna remare abbiamo trovato un piccolo escamotage che, sperimentato in realtà da poco e in occasione dei pienoni lunatici (ultimamente il Luna’s tende a montare un po’ come fa il latte: ad un certo punto si gonfia talmente di presenze che dobbiamo mandar via qualche avventore che non troverebbe tavolo nè posto a sedere), sembra funzionare. Lo abbiamo studiato perché troppo viva è la memoria degli Uomini Grigi della Momo di Ende e noi non vogliamo assolutamente assomigliargli.
Così abbiamo cominciato a giocare. A sostituire un pensiero irrisorio a tutti quelli di ansia, un sorriso a una frase brusca, una piccola cosa lieta a una che pare incombere sulle nostre teste, una quisquilia ad un dramma. E abbiamo fatto una scoperta: che ci possono essere una stanchezza e dei sacrifici belli, che sanno di buono, che soddisfano e fanno tirare uno di quei sospironi da fine camminata in montagna: è stata dura, ma ce l’abbiamo fatta!
Chiaro: non sempre è facile, non sempre fattibile, ma ha tutto un altro sapore, rende le giornate frenetiche ma non massacranti, caotiche ma non da stenderci al tappeto. Insomma: il fatto che si torni a casa con un bel sorriso la dice lunga. E non ingannatevi, Lunatici, perché siete parte di questo cambiamento, questa nuova prospettiva: #maipiùsenzaPopoloLunatico!
E poi… Giuseppe Cederna, di cui parliamo nei consigli di libri perché ha portato in scena al Gobetti per il Teatro Stabile di Torino Da questa parte del mare di Gianmaria Testa, a fine spettacolo ha deciso di recitare una poesia che Gianmaria ha composto ben conscio di essere prossimo alla fine. Forse il cambio di prospettiva è avvenuto anche e principalmente grazie a questo micro-macro insegnamento: la Bellezza esiste, come recita la poesia. Ed è da sciocchi lasciarsela sfuggire perdendo tempo a lamentarsi, senza porre attenzione a quello che abbiamo di meraviglioso tutti i giorni sotto i nostro occhi.
E con questo non vogliamo far la morale a nessuno, nè scoprire l’acqua calda. Vogliamo vivere bene, attorniati da persone che vivono bene altrettanto.
Vi lasciamo con la poesia. Con La Bellezza. Che, a quanto pare, cari Lunatici, Esiste!
La Bellezza esiste
Nel becco giallo-arancio di un merlo
in un fiore qualunque
nell’orizzonte perduto e lontano del mare
la Bellezza esiste
è un mistero svelato
un segreto evidente
la vita
la Bellezza esiste
e non ha paura di niente
neanche di noi
la gente.
Gianmaria Testa, da Da questa parte del mare, Einaudi, 2016.