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Marzo, di libri uno sfarzo! | I consigli di marzo 2023

    Francesco Zani
    PARLAMI
    (Fazi, € 16) 

    Si chiama Alessandro ma per tutti è Gullit, come il calciatore del Milan, anche se parla appena e balbetta, accende le luci di casa durante il giorno, legge i giornali al contrario e non ha neppure un amico.
    L’unico a capirlo davvero è il fratello maggiore, capace di varcare i confini di quel mondo chiuso che il ragazzo ha creato per difendersi, fatto di gesti ripetitivi e silenzi incomprensibili. I due crescono insieme sotto il sole di Cesenatico, tra gli ombrelloni colorati del Bagno Beatles, lo stabilimento balneare gestito dai genitori che si accende di allegria in estate per rimanere nascosto nella nebbia d’inverno. Se per il padre il bagno è la chiave per un’esistenza migliore, per la madre le stagioni che si susseguono al lavoro sono sempre più faticose, tanto da spingerla a mandar giù un bicchiere di vino dopo l’altro per tentare di sopravvivere alla tristezza. Quando la pericolosa ambizione del padre trascina l’attività di famiglia in un giro d’affari poco chiaro, il giovane Gullit decide di farsi avanti, rompendo per sempre l’equilibrio delle cose.
    Parlami, il commovente esordio di Francesco Zani, racconta con voce limpida e sincera l’arrivo di un bambino speciale capace di scardinare i meccanismi di una famiglia come tante. Un romanzo di formazione delicato e vibrante che ci mostra come l’amore sia capace di superare anche le differenze più profonde, con un protagonista dallo sguardo diverso che entrerà sicuramente nel cuore dei lettori.


     

    Sara Bertrand
    TERRITORIO DI FUGA
    (Edicola Ediciones – Trad. di Giulia Giorgini, € 17)

    Lili ha dodici anni, poche amicizie e due fratelli più piccoli. Corre in bici per le strade del quartiere e dentro felpe di tre taglie più grandi cerca di nascondere un corpo che inizia a sfuggire al suo controllo. Con sguardo incredulo e impotente osserva la madre, una donna inquieta e ostinata, che nel tentativo estremo di ritrovarsi sceglie di abbandonare i figli e di unirsi alla setta religiosa di Osho.
    Ma Lili è anche una donna adulta, enigmatica e riservata, che porta dentro di sé la memoria storica della sua famiglia, una mappa generazionale fatta di ferite e di piccoli momenti di gioia. Nella sua ritrosia ad abbandonarsi all’amore, scopriremo la fragilità della sua vita affettiva, i frammenti di cui si compone la sua identità.
    Una storia toccante e coraggiosa che racconta quello che per molti versi è ancora un tabù: cosa succede quando una donna, una madre, mette sé stessa prima degli affetti più cari e fugge per sondare i limiti della propria libertà?

    Territorio di fuga è la favola plurale di un universo familiare sull’orlo della dissoluzione, accomunato dall’assenza, segnato da inciampi e fallimenti, ma anche da teneri affetti. È soprattutto un romanzo sul complesso rapporto tra madre e figlia e sulla possibilità di esplorare territori nuovi, spazi sconosciuti capaci di accoglierci e annullare il nostro bisogno di fuggire.


     

    Maddalena Vaglio Tanet
    TORNARE DAL BOSCO
    (Marsilio, € 17)

    Il bosco è il bosco, la montagna è la montagna, il paese è il paese e la maestra Silvia è la maestra Silvia, ma è scomparsa. In una piccola comunità agitata dal vento della Storia che investe tutta l’Italia all’inizio degli anni Settanta, Silvia, la maestra, esce di casa una mattina e invece di andare a scuola entra nel bosco. Il motivo, o forse il movente, è la morte di una sua alunna. Non la morte: il suicidio. La comunità la cerca, ma teme che sia troppo tardi, per trovarla o per salvarla, e in qualche modo che queste due morti siano una maledizione. Il paese è di montagna e le paure e i sentimenti, che pure non possono essere negati, non possono nemmeno essere nominati.
    Teme il paese il contagio di una violenza tutta umana e mai sopita, una violenza che dopo due guerre mondiali si è trasfusa in una guerra civile, politica. La maestra però non si trova e il paese, per continuare a vivere e convivere con il lutto e l’incertezza, si distoglie. In questa distrazione, Martino, il bambino che non è nato nel paese e nemmeno è stato accolto, tagliando per il bosco incrocia un capanno abbandonato, e nel capanno, color della muffa e dorata come il cappello di un fungo, sta la maestra. Il bambino non dice di averla trovata, e la maestra non parla.
    Ma il bambino torna e la maestra, in fondo, lo aspetta. A partire da fatti reali e racconti di famiglia, articoli di giornali, dicerie e mitologie, Maddalena Vaglio Tanet racconta una storia di possibilità e di fantasmi, di esseri viventi che inciampano in vicende più grandi di loro, e di bambini dei quali – come scriveva Simona Vinci, al suo esordio – non si sa niente, se non che sono gli unici a conoscere quanta realtà ci sia nelle fiabe, quanto amore stia nella paura, e quante sorprese restino acquattate nel bosco.


     

    Carl Theodor Dreyer
    GESù, IL FILM DI UNA VITA
    (Iperborea – Trad. di Marco Vanelli, € 19,50) 

    «Quanti idealisti politici e religiosi, prima e dopo Gesù, sono stati uccisi per necessità politiche o religiose, e sempre in nome del popolo?» Quando la Danimarca viene invasa dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale, per il regista Carl Theodor Dreyer l’idea di un film su Gesù, già vagheggiato da quasi dieci anni, diventa finalmente un progetto. I coloni romani come gli invasori tedeschi, il governo ebraico come i collaborazionisti, gli idealisti come la resistenza. E Gesù è qui, nella resistenza, tra i «non accettanti», secondo la definizione di Goffredo Fofi nella postfazione a questo libro, che si oppongono a un sistema oppressore con la semplicità di un’idea rivoluzionaria. Il Gesù di Dreyer scardina l’ordine delle cose con l’empatia, la compassione, l’attenzione agli ultimi, e in cambio richiede una fede profonda che, per l’autore non praticante, è un nodo di riflessione e una conquista in tarda età. Ma l’umanissimo figlio di Dio che il regista danese descrive, a volte arrogante e a volte rabbioso, nasce da una lettura personale del testo biblico, rimuginata nel corso di trent’anni e lungo più stesure della sceneggiatura, che razionalizza i miracoli e perdona i carnefici, convinti ingenuamente di essere parte del disegno divino: mai tradotta in immagini per la morte dell’autore, è rimasta solo nel testo definitivo, scritto per la Rai nel 1967 e oggi pubblicato per la prima volta nella sua versione più completa, che integra gli appunti dell’autore e gli episodi espunti. Così dalle pagine di Gesù, un testamento spirituale, emerge l’occhio di un regista visionario, austero, essenziale, che guarda alla storia fondativa della cultura occidentale e ne trae il racconto di un’umanità in rivolta silenziosa, che la violenza spegne ma la Storia è costretta ad accettare, anche se solo con il senno di poi.


     

    Dola De Jong
    L’ALBERO E LA VITE
    (La Nuova Frontiera – Trad. di Giulia Giorgini, € 17)

    Amsterdam, 1938. Erica entra nella vita di Bea come un temporale improvviso in un giorno di fine estate. Le due non potrebbero essere più diverse: Bea è misurata, razionale, vive ogni aspetto dell’esistenza con una sorta di passiva rassegnazione. Erica invece è ribelle, imprevedibile, spericolata, ogni sua azione è dettata dall’irruenza del desiderio. Bea cerca costantemente di spiegarsi la natura della loro relazione, che diventa sempre più instabile e turbolenta, finché l’amicizia si trasforma in un amore inconfessabile. Non riescono a vivere insieme, né a stare lontane l’una dall’altra. Solo quando le ombre della guerra si allungheranno inesorabilmente sulle loro vite, Bea riuscirà ad accettare la natura della sua attrazione per Erica.
    Narrato in prima persona, L’albero e la vite scava nell’animo delle indimenticabili protagoniste alle prese con sentimenti e pulsioni considerati inammissibili da una società che si apprestava a vivere i momenti più bui della sua storia.


     

    Bianca Pitzorno
    SORTILEGI
    (Bompiani, € 15)

    Mentre infuria la peste del Seicento, una bambina cresce in totale solitudine nel cuore di un bosco e a sedici anni è così bella e selvatica da sembrare una strega e far divampare il fuoco della superstizione. Un uomo si innamora delle orme lasciate sulla sabbia da piedi leggeri e una donna delusa scaglia una terribile maledizione. Il profumo di biscotti impalpabili come il vento fa imbizzarrire i cavalli argentini nelle notti di luna. Bianca Pitzorno attinge alla realtà storica per scrivere tre racconti che sono percorsi dal filo di un sortilegio. Ci porta lontano nel tempo e nello spazio, ci restituisce il sapore di parole e pratiche remote – l’italiano secentesco, le procedure di affidamento di un orfano nella Sardegna aragonese, una ricetta segreta – e come nelle fiabe antiche osa dirci la verità: l’incantesimo più potente e meraviglioso, nel bene e nel male, è quello prodotto dalla mente umana. I personaggi di Bianca Pitzorno sono da sempre creature che rifiutano di adeguarsi al proprio tempo, che rivendicano il diritto a non essere rinchiuse nella gabbia di una categoria, di un comportamento “adeguato”, e che sono pronte a vivere fino in fondo le conseguenze della propria unicità. Così le protagoniste e i protagonisti di queste pagine ci fanno sognare e ci parlano di noi, delle nostre paure, delle nostre meschinità, del potere misterioso e fantastico delle parole, che possono uccidere o salvare.


     

    Chinelo Okparanta
    SOTTO GLI ALBERI DI UDALA
    (e/o – Trad. di Tiziana Lo Porto, € 19) 

    Figlia unica e rimasta orfana di padre durante la guerra civile nigeriana, negli anni Sessanta, la giovane Ijeoma viene affidata dalla madre a una coppia di amici di famiglia disposta a pagarle gli studi in cambio di una mano nei lavori domestici. Lontana dalla religiosissima madre, Ijeoma diventa adulta esplorando la propria identità sessuale e innamorandosi di una ragazza della sua età. In una Nigeria omofoba e bigotta, verrà separata dall’amata e indottrinata dalla madre, convinta che l’omosessualità sia di per sé sbagliata e un male da combattere. Anni dopo, nuovamente innamorata di una donna, Ijeoma verrà costretta a una nuova separazione e a mettere in piedi una parvenza di famiglia tradizionale sposando un amico d’infanzia e dando alla luce una bambina. Sarà proprio la nascita della figlia Chidinma ad aiutarla a riaffermare la propria identità sessuale e a decidere di battersi per un futuro migliore.


     

    Simona Baldelli
    IL POZZO DELLE BAMBOLE
    (Sellerio, € 16)

    Nina viene abbandonata in un orfanotrofio nell’immediato dopoguerra. Le suore fanno la cresta sul vitto e le elemosine, il confine fra disciplina e oppressione è molto sottile e le punizioni corporali e psicologiche sono parte integrante del sistema di educazione. Quando Nina compie sette anni, arriva Lucia, che ha la sua età e non possiede la scorza necessaria per salvarsi dall’insensata cattiveria delle monache. Nina si sente in dovere di difenderla. Insieme all’amicizia, scopre la differenza fra ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, mentre cresce in lei il senso di esclusione. Oltre le mura dell’istituto c’è un mondo al quale loro non hanno accesso e dove accadono fatti clamorosi – la nascita della televisione, il discorso rivoluzionario di un reverendo nero, l’assassinio di J.F. Kennedy, dighe che straripano e trascinano a valle migliaia di corpi, la morte del Papa buono. Quando a diciott’anni Nina esce dall’orfanotrofio trova davanti a sé un continente inesplorato. La sua vita sembra iniziare da capo: incontra nuove amiche, con loro partecipa a manifestazioni e scioperi e alla storica occupazione del grande tabacchificio di Lanciano, nel maggio del 1968, durata per ben quaranta giorni. Le vicende private e sentimentali delle ragazze si mescolano a quelle pubbliche, tutto attorno l’Italia cambia, pare lasciarsi indietro l’oscurità del passato, scopre i consumi e le réclame, la moda e le prime utilitarie, mentre le radio a transistor raccontano una trasformazione dei costumi a tempo di canzoni. La colonna sonora di ciò che poteva essere e non è stato.
    Il pozzo delle bambole racchiude in sé molti romanzi: una storia di crescita e di formazione, sulla scoperta del mondo palmo a palmo; un’avventura di collegio, di istituto, di camerate e cucine, spazi in cui crescere e trasformarsi; un affresco storico sul dopoguerra che è anche racconto di fabbrica e lotte; e soprattutto un romanzo di donne che diventano consapevoli, commettono errori, avanzano e retrocedono in una lotta lunga e difficile che Simona Baldelli descrive con ritmo, verosimiglianza, attenzione e sensibilità.


     

    Magda Szabó
    PER ELISA
    (Anfora – Trad. di Vera Gheno, € 15)

    L’ultima opera scritta dalla scrittrice ungherese Magda Szabó (1917-2007). Doveva far parte di un dittico autobiografico rimasto inattuato, seppure Per Elisa è in sé completo. Viene considerato in patria il capolavoro della scrittrice, il degno lascito prima della compianta scomparsa.

    La storia di Per Elisa avviene tra il 1917 e il 1935, e segue la vita della scrittrice fino all’esame di maturità. I genitori assicurano alla loro brillante ma cocciuta figlia di poter godere di un’eccezionale gioventù. La giovane Magda non era una ragazzina facile da controllare. Ebbe un periodo molto difficile a scuola con i suoi insegnanti, cui rispondeva con azioni di sfida e vendetta. Nell’appassionata prosa di Magda Szabó riusciamo a vedere una fantasiosa studentessa, esperta di cultura classica, fiduciosa nelle proprie capacità, che fa la sua prima conoscenza con l’amore.

    Perché il titolo Per Elisa?

    Come sul risvolto della prima edizione ungherese Magda Szabó ci spiega: “l’umanità è composta da miliardi e miliardi di Elise, e ognuna di loro può cogliere nella canzone di Elise un messaggio, un interrogativo o un’istruzione personali indirizzati a lei, (…) ma dice qualcosa anche a noi, a ognuno tra di noi che siamo disposti a canticchiare la canzone in questa maniera muta e filtrare da essa riguardo a cosa il Maestro ci chiede di prendere posizione.” E possiamo solo condividere il pensiero espresso dalla professoressa Cinzia Franchi che sulle pagine de Il Manifesto scrisse: “chissà che non sia questo il segreto, la chiave che apre la porta sul passato incastonato nel quadro del Grande Trauma collettivo storico ungherese del Trianon, la chiave per comprendere un’autobiografia interrotta.”