Ci sono romanzi che, al posto del classico incipit, hanno un pretesto. Costruiscono cioè una situazione iniziale, da cui prende le mosse tutto il racconto. È una scelta rischiosa, che può decretare l’insuccesso di un libro, perché a volte un inizio del genere vincola il seguito, limita la libertà d’invenzione.
Questo è un romanzo che ha un pretesto. Un giovane imprenditore di Bangalore scrive al primo ministro cinese Wen Jiabao. Gli vuole raccontare la sua storia e, attraverso di essa, fargli capire qualcosa in più sull’India di oggi. Ogni notte, fino alle 2 o alle 3 del mattino, il giovane va avanti di un pezzetto. Poi s’interrompe per cominciare il lavoro, che a Bangalore, patria dei call center in outsourcing, parte a quell’ora.
Scopriamo così le vicende di Munna, detto anche Balram, la tigre bianca, che da modestissimo lavapavimenti diventa autista, quindi confindente del suo capo, infine – in un modo un po’ inconsueto – la sua carriera prenderà una svolta definitiva.
Romanzo caustico, pieno di svolte nella trama, scritto con uno stile fresco da Aravind Adiga – classe 1974, qui all’esordio – La tigre bianca ha vinto il Booker Prize nel 2008. Non è un capolavoro assoluto, ma ha qualcosa che fa sperare che Adiga scriva presto un altro libro. E dice sull’India moderna più di tanti saggi banalotti. Anche se non vi chiamate Wen Jiabao.