Alla fine di questo romanzo anche il lettore si sente un po’ una lepre, ingannato, quasi ammaliato dalle volute eleganti della prosa di Gianni Farinetti, dall’ironia sottile, dagli intricatissimi legami familiari. Il lettore sgrana gli occhi di fronte al dialogo arguto, si perde nella descrizione dettagliatissima di un salotto, sorride per lo sketch, pensa che Farinetti stia solo giocando – figurati se perde tempo a giocare, Farinetti – e non s’accorge del colpo di scena che è nel frattempo maturato, pagina dopo pagina, e che improvvisamente gli piomba addosso.
Rebus di mezza estate è così fino all’ultima pagina, o anzi fino all’ultima riga. Ambientato in Alta Langa – quella meno turistica e più selvaggia, che ospita ancora volpi, lepri e a volte assassini – questo libro è parente stretto di quel Delitto fatto in casa (Marsilio, 1997) che ha reso subito noto Gianni Farinetti. Tornano alcuni di quei personaggi – la coppia Sebastiano Guarienti-Duccio, sopra tutti – e torna il bel mondo della Provincia Granda, quella di Cuneo, che l’autore prende garbatamente in giro.
Madamine di provincia, nobili decaduti, presunte scrittrici, nuovi ricchi e vecchi faccendieri si trovano in Alta Langa per due matrimoni: uno di gran mondanità – lo sposo è un Clavesana, una delle famiglie più cospicue dei dintorni – l’altro, più alla buona, di due ragazzi romeni. Attorno a questi due ricevimenti si sviluppa la storia, che prende una piega imprevista al primo morto. Possibile che un killer si aggiri per questi boschi intatti? Il maresciallo Beppe Buonanno dovrà scoprirlo, e lo farà dipanando la fitta trama di relazioni spesso ipocrite e ingannevoli, tra i personaggi.