Allegramente assisi attorno ad un tavolo per un lauto simposio ci si è sentiti tacciare di pedanteria linguistica. Si parlava di come dire questo, come dire quello, come accentare una parola, come accentarne un’altra. Stupore, caduta dalle nuvole, perché mai si sarebbe immaginato di fare una sorta di terrorismo della libera espressione.
Ma è un fatto: gli studi classici, le regole di lingue antiche che hanno in qualche modo dato i natali alla nostra, ci hanno creato una forma mentale precisa, per cui qualcosa suona sbagliato, qualcosa suonagiusto. E, se si va a ripescare la regola (quando -spesso- non la si ricorda) tante volte si scopre di avere ragione.
E non ne stiamo parlando per bearci di qualcosa che consideriamo una specie di talento, tutt’altro. Ne stiamo parlando perché in realtà ne è scaturita una riflessione che va in tutt’altra direzione.
Le regole. Grammaticali, linguistiche. Sono utili, in qualche misura indispensabili perché il nostro parlare non sia un’accozzaglia insensata di suoni, novella Babele, ma una corrisponsione reciproca di senso (e sensi). Già così, parlando, ci si fraintende, perché la nostra lingua ha ambiguità, doppi (e tripli!) singificati per significante, tranelli che spesso comunicano all’interlocutore qualcosa di in parte o totalmente diverso da ciò che intendeva l’autore dell’enunciato.
Bene. Però… La nostra, diversamente da quelle sudate sui banchi di scuola, è lingua bella viva, parlata, scambiata, pronunciata. E questo, inevitabilmente, la modifica, dandole forme, suoni, colori, regole nuovi.
Mettiamo le mani avanti, perché rabbrividiamo per l’assenza di un congiuntivo quando serve, quando non viene rispettata la famigerata consecutio temporum, quando vengono clamorosamente sbagliati dei plurali o quando congiuzioni e locuzioni avverbiali vengono usate a spropostito, come il prezzemolino che sta bene un po’ ovunque.
Amiamo la grammatica della nostra bella lingua, perché sono le sue regole a renderla bella.
Però non si può restare ancorati e difendere a spada tratta una naturale variazione del nostro parlato, che inevitabilmente andrà pian piano modificando anche le regole della grammatica che tanto appreziamo.
Non finiremo mai di tentare di preservare nel nostro piccolo la grammatica e le sue regole, ma non possiamo davvero lottare contro i mulini a vento opponendoci strenuamente a cambiamenti che sono ineludibili, benchè ci piacciano poco (o per nulla).
Salinianamente bisogna che tutto cambi perché tutto resti com’è (da Il Gattopardo, cit.), davvero, quindi sì, continueremo a fare i pedantoni sulle questioni linguistiche e di bell’eloquio e a spacciare a tutti la lettura e studio della grammatica come una delle avventure più affascinanti da intraprendere. Ma lo faremo con la consapevolezza e la lungimiranza che le cose, irrimediabilmente, andranno nel verso che i più di noi avranno deciso comunicando. E trovando la maniera più efficace per farlo.
Detto questo, aprite una grammatica e cominciate a ristudiarla. Aprite un vocabolario e leggete dalla prima primissima A, o andate a casaccio, scegliendo di volta in volta un vocabolo di vostro gradimento. Leggete e stupirete, perdendovi nella miriade di scoperte che farete!