Ci sono giorni, nel corso di un anno, giorni presi a caso che capitano del tutto accidentalmente, senza la benché minima programmazione, in cui cambiano di colpo ritmi, abitudini, persone, serate.
Sono giorni un po’ così, che hanno il sapore di un’altra vita possibile, che lasciano in bocca dolcezza e qualche retrogusto di nostalgia. Sono giorni strani dopo i quali tutto torna normale, anche se, a guardare bene, la normalità, dopo di loro, si è spostata di qualche centimetro più avanti. Perché son giorni, ma sono anche terremoti.
Quelli trascorsi sono stati – se vogliamo trovargli un nome – “I giorni degli abbracci”. Una frase detta accidentalmente tra amici ed ecco che, come un virus poco contenibile, per giorni interi ognuno è stato pronto a regalare il suo migliore abbraccio possibile. Per tre giorni noi lunatiche abbiamo abbracciato chiunque, persone conosciute, semisconosciute e appena conosciute, accoccolandoci – che forse ce n’era bisogno – tra braccia pronte a regalare la loro miglior strizzata d’avvolgenza e affetto. Ma soprattutto tra braccia pronte a gareggiare per dimostrare di poter essere il miglior abbraccio mai ricevuto, e quindi, diciamolo, sono stati giorni di abbracci da 10 e lode, di abbracci che senza saperlo erano consolatori e riposanti, amicali e rassicuranti, divertenti e stuzzicanti. Mica quegli abbracci così, tanto per fare, quelli di quando incontri qualcuno e lo abbracci perché così si fa, magari battendogli una pacca sulla schiena che manco una mamma per il rigurgitino. No no, in questi giorni noi lunatiche abbiamo assaporato il meglio del meglio che l’arte abbracciatoria potesse offrire. E ci siamo ricaricate, ce ne siamo riempite, e ci siamo divertite assai nel vedere che chiunque abbracciava chiunque, tutto davanti ai nostri un po’ sbigottiti occhi.
Se ci sono tante cose belle che capitano sulla Luna’s, questa è una delle più belle che abbiamo innescato fuori dalle nostre mura: una valangata di gente abbracciosa e ridente, pronta a chiedere senza remore una seconda strizzata per avere una controprova.
Forse la verità è che c’è solo bisogno di una scusa. Forse la verità è che alla sera, uscendo dal lavoro, o dopo una giornata un po’ così (o un pezzo di vita un po’ così) tutti quanti avremmo bisogno di un abbraccio, uno vero. Ma chiedere pare brutto: che fai, vai da uno/a sconosciuto/a che a occhio ha l’arto avvolgente e gli chiedi di levarti di dosso il peso della giornata? Non si può, non si fa… eppure basta niente, un nonnulla, e sono tutti pronti a stropicciarsi le schiene per ore, come se fosse la cosa più normale del mondo. E quindi, lunatici, pensiamoci: forse lo è. Forse abbiamo solo bisogno di inventarci un motivo giustificatorio poco compromettente per dar sfogo al nostro animo coccoloso.
Quindi se ne avete bisogno, fate così: dite che c’è un tizio, in giro per Torino, che afferma di essere il miglior abbracciatore in zona, che voi avete sperimentato ma che avete bisogno di una controprova. E fatevi abbracciare solo perché ne avete voglia, senza patemi o secondi fini. E se il trucco vi è riuscito mandate un pensiero della buona notte a noi lunatiche – ebbene sì, anche di pensieri positivi c’è sempre bisogno – e godetevi una sana stropicciata. Diciamocelo: non fa mai male.
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Con un ringraziamento speciale per T. che – bisogna ammetterlo – regalava straordinari abbracci avvolgiosi anche prima.
*Per chi non lo sapesse (ma no, non ci crediamo!) il titolo della newsletter arriva dritto dritto da una bellissima poesia di Guido Catalano, Teniamoci stretti che c’è vento forte, in Ti amo ma posso spiegarti, Miraggi Edizioni)