José Pablo Feinmann – si legge nelle sempre piacevoli piccole biografie di Marcos Y Marcos – se di giorno insegna filosofia, di notte vive di cinema. Lo possiamo immaginare mentre entra in casa, getta in un angolo la vecchia borsa di cuoio piena di libri di Kant, Hegel, Spinoza e finalmente sgravato da tanto peso si mette a “setacciare gli anni d’oro di Hollywood“.
Poi un’altra cosa che Feinmann fa di notte è scrivere. Ma non saggi filosofici: scrive romanzi brillanti, spesso trasversali a più generi. Come Amaro, ma non troppo o come Il cadavere impossibile. E soprattutto come questo Cinebrivido, che Marcos ha appena ripubblicato nella sua collana di tascabili, i miniMarcos.
Sotto i panni di un thriller, con tanto di assassino seriale, Feinmann racconta una storia dove tutto è estremo, distorto, eppure molto vicino a noi. Il giovane Fernando Castelli, che ha scritto cento sceneggiature per il cinema ma non ne ha mai venduta una, decide di diventare un serial killer e sceneggia – in leggera differita – i suoi stessi omicidi. La sua decisione è caldeggiata dal suo caro amico Jack lo Squartatore, che ogni tanto passa a fargli visita per qualche consiglio.
Nasce così il terribile Van Gogh, serial killer che taglia l’orecchio sinistro alle sue vittime. Che presto diventa un problema politico, ma anche la felicità per Greta Toland, produttrice senza scrupoli in cerca di una storia vera. E mentre il commissario Pietri – telegenico e incapace, perciò amatissimo dai politici – incaricato di indagare, mentre l’arruffatissimo investigatore Colombres conosce fin da subito il colpevole, ma per un bel pezzo non fa nulla.
In un susseguirsi di citazioni cinematografiche il libro prende quota, grazie alla scrittura rapida e a scene molto ben costruite. I personaggi di Feinmann sono spesso macchiette, funzionali a un libro che somiglia molto più a una farsa che a un thriller. Romanzo consigliato, che diventa quasi imperdibile se amate il cinema (specie i grandi classici hollywoodiani).